Ebbene si: può capitare a tutti. Una domenica come tante, vuota di impegni. Un piccolo infortunio che ti costringe a casa, le festività ormai passate, colombe e uova di Pasqua ormai già smaltite e… et voilà! ritrovarsi ad aver perso l’intero pomeriggio su internet è un attimo.

Può capitare a tutti, dicevo (anche ai più virtuosi). Ma c’è un vecchio adagio (non ricordo con precisione né l’origine né i dettagli) che sostiene che il valore del “tempo perso” si misura nel modo in cui si “perde tempo”. Insomma si può perdere tempo con grande professionalità, o utilità, o ristoro. Ma si può anche perdere tempo in modo disperatamente vano.

Cercando di evitare almeno l’ultima ipotesi, in questo scampolo di weekend ho creduto bene di impiegare (bene) il tempo nel cercare un argomento che (ben) mi facesse perdere tempo e se possibile – diciamo così – con un certo stile.

Tralasciando per un momento tutti gli argomenti che anche lontanamente sono riconducibili a fatti bellici, strategici, economici o di costume m’è parso di capire che in questi giorni la “questione” con la quale si può “ben perdere” più tempo possibile sia quella dell’algoritmo (o degli algoritmi).

Limitandoci al contesto nazionale si osservano ormai “questioni algoritmiche” in ogni dove: a sinistra, a destra (da intendersi sia in senso posizionale che socio-politico), telegiornali, talk show, convegni più o meno istituzionali e – come riferito da affidabilissime fonti famigliari (mia madre) – anche dal parrucchiere. Sorvolando sul fatto che – a voler ascoltare i media, i giornalisti e anche qualche pseudo esperto –  da un mondo cibernetico staremmo velocemente passando ad un mondo algoritmico, dove gli algoritmi saranno tassati e dotati di responsabilità personale, m’è parsa una buona idea – dovendo perdere del tempo – perderlo con un argomento praticamente “nullo”, sul quale a ben vedere non c’è praticamente un bel niente da argomentare, studiare, proporre. Niente da inventare insomma: l’algoritmo.

Tuttavia, con riferimento a quanto si diceva sopra, non è tanto il cosa si argomenta, ma il come lo si argomenta.  E perciò iniziamo. Scegliendo per l’occasione un metodo consapevolmente, dichiaratamente, massicciamente non scientifico (che alla fine forse è anche un “non metodo”…) ho voluto googlare la parola “algoritmo” limitando la ricerca ad alcuni domini del top-level-domain nazionale.

Tra questi domini ho selezionato tre grandi aree: Istituzioni, partiti politici e Università.

Per mantenere la “perdita di tempo” entro limiti eticamente accettabili per un individuo che lavora, ha una famiglia e ha degli obblighi sociali, ho ulteriormente limitato il numero di ricerche ad un massimo di due o tre per ogni area. Non è affatto un campione significativo, ma la significatività non è quel che sto cercando (sempre che essere maggiormente significativo non mi faccia perdere tempo in modo più elegante, ma questo è tutto da dimostrare).

Di seguito una immagine (che, come noto, vale più di mille parole…) illustra i risultati ottenuti (il numerello da tener d’occhio è quello della riga in basso, subito dopo il “Circa..:”).

Veniamo dunque ai numeri, area per area:

Istituzioni

  • sul dominio senato.it Google indicizza 1.140 risultati relativi alla parola “algoritmo”
  • sul dominio camera.it Google ne indicizza invece 1.250
  • sul dominio governo.it (e qui le cose migliorano) Google ne indicizza soltanto 37.

Partiti politici

  • sul dominio beppegrillo.it Google indicizza 406 risultati relativi alla parola “algoritmo”
  • sul dominio partitodemocratico.it Google ne indicizza invece 37
  • sul dominio forza-italia.it Google non ne indicizza nessuno (ma non è detto che non ne parlino altrove, ovviamente… ;) )

Università

  • sul dominio di.uniroma1.it (il Dipartimento di Informatica dell’Università Sapienza di Roma) Google indicizza 1.520 risultati (nella fascia di Camera e Senato, dunque)
  • sul dominio di.unipi.it (il Dipartimento di Informatica dell’Università di Pisa) Google sorprendentemente ne indicizza… soltanto 7 (sette).

Queste le prime reazioni ai risultati registrate al “bar dello sport” sotto casa:

  1. vince il dipartimento di informatica della Sapienza con 1.520 risultati… Mbè ci sta che scrivano di algoritmi, è il dipartimento di informatica, che diamine!  
  2. perdono il dipartimento di informatica di Pisa e Forza Italia rispettivamente con 7 e zero risultati… va bene Forza Italia, ma come sarebbe che sul sito del dipartimento di informatica dell’Università di Pisa si scriva così poco di algoritmi? Cosa gli insegnano ai nostri ragazzi? 
  3. in fondo alla classifica il Governo e il Partito Democratico, sorprendentemente con lo stesso numero di occorrenze: 37… lo stesso numero di occorrenze? E’ chiaro che si sono messi d’accordo per non parlarne, deve esserci un “ordine di scuderia”! Non ci si può proprio fidare di nessuno al giorno d’oggi…
  4. sulla parte alta della classifica invece Camera e Senato discutono in modo significativo di algoritmi rispettivamente con 1.250 e 1.140 risultati… Ecco, con tutti i guai che abbiamo in Italia questi si mettono a perdere tempo parlando di stupidaggini, di algoritmi! Alla faccia della gente che lavora! (e che magari giornalmente esegue o disegna algoritmi… NdA).

A cosa serve tutta questa disamina? A un bel nulla! Ovvero esattamente come il 98% delle narrazioni che ascoltiamo in questi giorni attorno alla parola (e, attenzione, non al concetto) di algoritmo. Al massimo, ma proprio al massimo, possono servire a perdere un po’ di tempo e -ahinoi – a perderlo nella maniera meno intelligente.

In conclusione, dato che la definizione di algoritmo (giusta o sbagliata, bella o brutta che sia) ve la potete agevolmente ricavare di Wikipedia (unitamente ad una sconfinata quantità di informazioni interessanti) io inserirò qui una (piccola) parte della definizione presente nel Dizionario di Filosofia di Nicola Abbagnano. Dopodiché ognuno di noi potrà, se vorrà, decidere di perdere il proprio tempo nel modo che più preferisce o che ritiene più (o meno!) produttivo. Eccola che arriva:

Più precisamente un A. (algoritmo, NdA) è una procedura meccanica – una mera manipolazione di simboli (cifre, lettere dell’alfabeto, ecc.) – che, applicata a un certo input (o argomento dell’A.) appartenente a un insieme di possibili input, elabora un output o risultato, in un tempo finito e in un numero finito di passi. Questa caratterizzazione è di tipo intuitivo – in ultima analisi è una semplice descrizione – e non può essere considerata una definizione in senso proprio.

Chissà se in Parlamento le forze politiche discutono di “algoritmo” in questo senso. E se no, chissà in che senso ne discutono. E se (ripeto SE) ne discutono in un certo determinato senso, chissà che senso sarà!

Spiace però constatare che ancora una volta (come era recentemente successo per “cibernetica”) anche per “algoritmo” politica e media (è sempre più difficile distinguere – per lo meno al livello non formale – le due cose) debbano sempre e per forza imporre la loro distruttiva, incoerente, sciatta costruzione di senso.

Parole di plastica, le definì qualcuno che aveva la vista lunga.

Il futuro incombe. Auguriamoci buona fortuna.