Nella arcinota saga cinematografica, il protagonista Marty McFly – catapultato per sbaglio nel passato – fa di tutto per ritornare nel futuro o – per meglio dire – al suo presente.

Chi ha visto il film (o ha letto il libro di George Gipe) sa che il giovane Marty in realtà non tornerà al  suo “vero” futuro (ovvero al suo futuro per come lo conosceva) ma coglierà l’occasione – agendo opportunamente sul corso degli eventi passati – per migliorare sensibilmente quello che poi diventerà il suo “nuovo presente”.

Il ricorso alla finzione cinematografica ci serve per introdurre in modo leggero una domanda che dovrebbe apparire a tutti piuttosto importante, specie in un momento in cui si sottolinea – per l’ennesima volta senza poi spiegare cosa ciò in realtà imnplichi – la necessità di avere “più intelligence”.

La domanda è la seguente: come abbiamo agito nel passato per avere l’intelligence che abbiamo oggi?

Meglio ancora: se, come Marty McFly, avessimo l’opportunità di tornare nel passato, su quali elementi agiremmo (e come) al fine di poter disporre oggi di una intelligence che ci sembri maggiormente adatta a rispondere alle recenti  (presunte) innovazioni del teatro strategico?

La domanda è, a nostro parere, assai interessante per (almeno) due motivi:

  1. perché sollecita una indagine di tipo storiografico sui processi – organizzativi e legislativi – che hanno recentemente portato ad innovare: a) gli studi di intelligence e b) l’assetto degli stessi apparati governativi di intelligence;
  2. perché sollecita una riflessione strategica su quanto oggi si sta facendo (o meno) affinché tra – che so… – 25 anni si possa disporre di una disciplina e di apparati che siano perfettamente adeguati alle realtà strategiche che allora si manifesteranno.

In altre parole l’esercizio di cui stiamo parlando è qualcosa che sta tra una analisi post-mortemforzata (ovvero posta la condizione attuale come una intelligence failure virtuale, la sua analisi), una simulazione a ritroso (quale sarebbe la situazione oggi se allora…) e una ampia attività di scenarizzazione.

Un back to the future – si è detto – quanto mai necessario di fronte alle nuove (?) sfide strategiche e alle relative priorità che gli apparati di intelligence ritengono attualmente rilevanti; un viaggio ad elastico nel tempo degli Studi di Intelligence nostrani, che però tutto sembra tranne che essere all’ordine del giorno.

In questo contesto, tra le altre cose, si osserrva invece un recente, rinnovato interesse – tanto da parte dell’accademica quanto da parte della politica e degli apparati di intelligence – per la cosiddetta intelligence collettiva, che poi è anche il realte motivo di questo post.

E’ vero: il te lo avevo detto non è mai qualcosa di particolarmente elegante e qualificante. Ma bisogna anche dire che, al giorno d’oggi, un certo tasso di “saccente autoreferenzialità” sembra essere tollerato, persino in ambito accademico. Perciò non sarà – spero – un azzardo troppo grande ricordare e riproporre quanto a tal proposito scritto in un vecchio articolo apparso su RDEGNT (Rivista di Diritto, Economia e Gestione delle Nuove Tecnologie, editore Nyberg, Milano) nel lontano febbraio 2007  dal titolo L’Intelligence, le reti e l’e-democracy” in cui si accenna, in una ottica prettamente strategica, alle relazioni esistenti tra intelligence, e-democracy, conoscenza partecipata, reti sociali, connettività individuale e intelligence diffusa.

Un articolo che – dopo quasi 9 anni – sembra essere ancora straordinariamente attuale.

Buona lettura!

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