Cinque anni fa – era la primavera del 2019 – Edizioni Epokè pubblicò il mio Microglossario Interdisciplinare per l’Intelligence delle Fonti Aperte. Il Microglossario ha ottenuto dopotutto un discreto successo, arrivando a essere addirittura citato nella pubblicazione “Leggiamo l’Intelligence. Per una bibliografia ragionata (ma non troppo) sulla funzione informativa, la storia, i protagonisti, le discipline” edita dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Sistema di Informazione per la Sicurezza della Repubblica.

il Microglossario Interdisciplinare per l’Intelligence delle Fonti Aperte (Edizioni Epoké, 2019)

Ma a parte il presunto successo di un’opera dichiaratamente di nicchia e resistendo alla osservazione – non poi così banale – sul fatto che la vita – superati i 50 – sembra trascorrere a gruppi di 5 o peggio 10 anni, ci sarebbe invece assai più utilmente da domandarsi quale possa essere la vita media di un Microglossario. Ovvero per quanto possa ritenersi scientificamente valida una pubblicazione di questo particolare tipo.

Si legge che la lingua sia un organismo vivo, la cui evoluzione (o involuzione…) è legata alle prassi, alle abitudini, agli usi di chi la lingua la pratica quotidianamente.

E se la cosa è vera per le lingue lo sarà tanto più per i linguaggi disciplinari, per le cosiddette “microlingue”.

Come scrivo nel Microglossario Interdisciplinare:

Esse [le microlingue] dunque evidenziano uno specifico connotato sociale: chi ne fa uso fa parte di un medesimo ambiente scientifico-professionale e si riconosce (e si aspetta che gli altri utenti lo riconoscano) come appartenente a quella specifica comunità. Questo è un fatto particolarmente importante per la Teoria Generale per l’Intelligence delle Fonti Aperte che a sua volta ambisce a riconoscersi e ad essere riconosciuta come una visione inedita e innovativa dell’intelligence, dell’OSINT e degli Studi di Intelligence in generale.

Dunque il destino di una lingua, di un linguaggio disciplinare, fa sempre riferimento a una “comunità” di utenti, a una rete di parlanti. Ne consegue che anche il destino delle microlingue – dei linguaggi disciplinari – è nelle mani della rete di entità (o fonti) che “pratica” una determinata disciplina.

Natura, struttura, topologia, estensione, scopi, relazioni le fonti stesse che costituiscono quella “comunità di pratica” disciplinare decidono, in fin dei conti – il “dove e quando” la microlingua deve andare.

Sulla base di queste riflessioni, qualche settimana fa, è nata la madre di tutte le domande: il Microglossario Interdisciplinare per l’Intelligence delle Fonti Aperte merita una revisione al termine della sua prima “missione quinquennale”?

La risposta potrebbe anche essere affermativa se fosse oggettivabile il fatto che la “comunità di pratica” del linguaggio disciplinare dell’Intelligence delle Fonti Aperte (almeno quella esposta nella mia proposta di Teoria Generale) abbia in qualche modo innovato il suo modo di usare la sua specifica microlingua.

Farlo sarebbe una operazione abbastanza complessa, sicuramente interessante e utile ma certamente esula dalle “dimensioni” e dagli scopi di questa newsletter.

L’altra considerazione è che nel 2019 non c’erano i chatbot (il correttore ortografico suggerisce le, ma l’Accademia della Crusca lo indica come sostantivo maschile) basati sulla tecnologia generative pre-trained transformer (ChatGPT).

Allora più che domandarsi se ha senso aggiornare il Microglossario Interdisciplinare in questa sede possiamo almeno chiederci “come sarebbe stato il Microglossario Interdisciplinare se fosse stato realizzato ai tempi e con il supporto dei recenti prodotti di IA?”

E per questa domanda ho pensato di dilettarmi con un “giochino” che ho illustrato nel recente video dal piuttosto esplicativo titolo: “CREIAMO (PER GIOCO) UN MICROGLOSSARIO INTERDISCIPLINARE CON L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE

Ma quello che volevo invece fare con questa newsletter è porre una domanda a voi, al network della comunità d’uso della “microlingua OSINT”: in questi cinque anni (a parte i lemmi legati in qualche modo alle IA…) in che modo è cambiato il vostro lessico OSINT all’interno delle vostre attività? E ancora se e in che modo usate diversamente parole (o concetti) già in uso e in che misura usate parole (o concetti) nuovi portati in OSINT e provenienti da altri ambiti disciplinari?

In altre parole: come sono cambiate – se sono cambiate – le pratiche attraverso le quali identifichiamo e usiamo key word della nostra disciplina?

Sarebbe bello e interessante parlarne – è il caso di dire… – “a parole nostre”. E – nel caso… – si potrebbe cominciare a pensare a una nuova edizione del Microglossario Interdisciplinare per l’Intelligence delle Fonti Aperte (con o senza lo zampino di GPT…).

Buone giornate!